Spesso i bambini interiorizzano parole sbagliate o conoscono parole che non usano. Il nostro intervento diventa in questi casi determinante. Perché il lessico a scuola non va solo integrato e arricchito ma anche corretto.

Alla vigilia delle vacanze di Pasqua abbiamo chiesto ai bambini di prima di parlarci di cosa avrebbero fatto nei giorni liberi.
E come succede tutte le volte che si apre una discussione spontanea, in particolare nelle classi dei più piccoli, si è originato un domino a cascata di allegre previsioni più o meno particolareggiate di incontri, luoghi, giochi e avventure.
Quando poi ognuno di loro si è cimentato con il disegno e la scrittura autonoma, il miscuglio di desideri e progetti si è materializzato sulle pagine dei loro quaderni.
Durante il lavoro, mentre io e la maestra passavamo tra i banchi a sedare dubbi su doppie, accenti e “mutine”(ogni classe ha un proprio lessico famigliare, in questo caso l’uso della lettera H), nel controllare le frasi di Greta, mi sono inchinata ad indicarle una vocale errata e a dirle rapidamente: «Greta, si scrive Circeo».
Non saprei descrivere l’intensità e l’attonito stupore dello sguardo che Greta mi ha rivolto. Per un istante ho dubitato che mi avesse capita, ma la sua risposta è stata pronta. Scandendo bene le sillabe con una bocca spalancata ha proferito : «Nooo, maestra, si dice CE-RCE-O!».

Ho capito allora che il suo sconcerto iniziale era causato dal non riuscire a credere che io potessi sbagliarmi a tal punto: il nome di un luogo della propria geografia di vita che per sette anni è stato pronunciato in un dato modo non può essere smantellato in un attimo dall’arrivo di una maestra qualsiasi che cambia le cose!
Di fronte alla mia insistenza, fattasi più discreta e felpata a seguito della sua reazione, Greta ha continuato a mostrare la sua ostinazione: «NOOOO maestra, davvero, si dice CERCEO».
Lessico, non solo arricchire
Quando parliamo di lessico a scuola, pensiamo principalmente a come poter arricchire il patrimonio dei bambini.
Poche volte riflettiamo sul fatto che l’esposizione (sia orale che scritta) ad una lingua corretta e varia nell’uso di vocaboli, agisca spesso sui bambini con una modificazione del proprio corredo lessicale e con una rettifica nella percezione delle parole.
È quando la maestra pronuncia bene la parola “ASTUCCIO“ che alcuni bambini colgono la distinzione tra articolo e nome e evitano di chiamarlo “STUCCIO”.
È quando la maestra pronuncia bene “ROSETO” e “ROSSETTO” che i bambini imparano a distinguere le due parole e sanno scriverle correttamente.
È quando la maestra dice “CIRCEO”, che iniziano a venire i dubbi.
Un’altra sottovalutata funzione della scuola, a proposito di lessico, è quella di tirar fuori dai bambini le parole che già conoscono ma che non usano. Per tutti il lessico fruitivo è più espanso rispetto a quello quello produttivo, ma anche in questo caso le conversazioni in classe sono laboratori e fucine di pensiero.

Qualche tempo fa, mentre mostravo alla stessa classe la cannuccia della mia penna bic in vista di una successiva descrizione, e ne muovevo le due estremità cercando di stimolare qualche osservazione, Libero ha esclamato: «è “flessibile”!»
L’aggettivo è quindi stato ripetuto dai compagni ed è poi rimbalzato nel testo finale dimostrando tutta la sua flessibilità.
Spesso quindi le parole ci sono, ma vanno trovate, valorizzate dall’entusiasmo e dai complimenti dell’insegnante e trasformate in patrimonio comune.
Anche parole nuove
Ci sono poi anche le parole nuove, certo, non possono mancare. Quelle che i bambini non conoscono e che dobbiamo pescare dal nostro cilindro quando le occasioni si presentano.
Joyce ha origini egiziane e ha i capelli neri neri. Ma talmente neri da essere CORVINI. Basta mostrare su un tablet il piumaggio dell’uccello che origina l’attributo e la similitudine con il nero dei capelli di Joyce ed è fatta. Non tutti, ma qualcuno certamente userà la parola non appena potrà foggiarsene.
Perché le parole ascoltate, ripetute ed imparate a scuola hanno un sapore diverso dalle altre, soprattutto se siamo noi ad accompagnarle con quella disposizione alla meraviglia tipica di ogni scopritore.
In fila
Quando, dopo circa un’oretta, i bambini erano ormai in fila nel corridoio pronti per uscire da scuola, Greta ha cercato la mia mano e mi ha tirata dolcemente verso di sé :«Adesso glielo chiedo a mamma se si dice Cerceo!»
E se lo dice mamma…
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