Quando si può parlare di didattica laboratoriale? Per esempio quando mettiamo gli alunni in condizione di lavorare e riflettere insieme ai compagni, godendo di una certa autonomia. Quando li stimoliamo a utilizzare conoscenze teoriche per svolgere attività pratiche e raggiungere un determinato risultato.

La didattica laboratoriale è un approccio all’insegnamento che implica l’uso di attività ed esperienze pratiche per favorire l’apprendimento degli alunni.
Nella didattica laboratoriale si coinvolgono gli allievi in attività che richiedono l’applicazione pratica di conoscenze teoriche, che possono essere già note oppure da acquisire svolgendo le attività. Contemporaneamente, vengono sviluppate competenze trasversali.
Si tratta quindi di learning by doing (lett. “imparare facendo”).
Non dobbiamo pensare esclusivamente al classico laboratorio “scientifico”. In realtà le attività didattiche possono includere simulazioni, progetti, esperimenti, analisi di dati, giochi di ruolo, presentazioni, ecc.
Chi era John Dewey
Quando si parla di learning by doing è indispensabile presentare la figura di John Dewey (1859 – 1952), filosofo, pedagogista e scrittore statunitense che ha esercitato una grande influenza nella cultura del suo Paese (e non solo) nel corso del ventesimo secolo.
Dewey si interessò di educazione, privilegiandone l’aspetto sociale e studiandola come una vera e propria scienza.
Il suo pensiero è ben riassunto nel libro Esperienza e educazione del 1938 (disponibile in italiano per Raffaello Cortina Editore), in cui l’autore parla di una filosofia dell’educazione basata sull’esperienza e mette in evidenza due concetti:
- l’importanza della qualità dell’esperienza (si apprende dalla riflessione sull’esperienza, non dalla mera azione);
- il fatto che non è possibile conoscere subito l’effetto dell’esperienza.
Quindi, quando si parla di didattica laboratoriale, dobbiamo tenere a mente almeno questi due concetti:
- l’esperienza è un fattore abilitante dell’apprendimento del singolo alunno;
- l’apprendimento è significativo e orientato al cambiamento della persona se c’è un rapporto attivo con l’esperienza.
La didattica laboratoriale è realmente efficace?
Alcuni docenti potrebbero chiedersi se l’attività laboratoriale crei o meno “dispersione”. Secondo le recenti scoperte delle neuroscienze, infatti, l’istruzione dovrebbe essere impostata avendo ben presente il funzionamento del cervello umano e quanto ci insegna, ad esempio, la Teoria del carico cognitivo.
È quindi importante, per esempio, progettare attività che favoriscono la costruzione di una conoscenza contestualizzata.
Inoltre, secondo alcuni studiosi, infatti, la scoperta guidata è più efficace dell’attività diretta esclusivamente dall’allievo (si veda al riguardo Dieci falsi miti e dieci regole per insegnare bene di A. Calvani e R. Trinchero, Carrocci Editore).
Questo significherebbe anche che alcune metodologie attive di taglio laboratoriale, come Based Science Education (IBSE) o Inquiry Based Learning (IBL), comportano un carico cognitivo elevato e, quindi, una maggiore possibilità di “dispersione” rispetto ad altre metodologie, soprattutto se utilizzate con studenti non ancora “autonomi”.
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